Resilienti ovvero più felici?

Editoriale tratto da “Far da sé n.466 Ottobre 2016”

Autore: Nicla de Carolis

Confesso che ho sempre utilizzato la parola resiliente solo per definire pavimenti in gomma, PVC, linoleum, moquette oppure quelli di Tartan, posati su piste e pedane, anche detto antitrauma, che grazie alle sue caratteristiche altamente resilienti agevola la prestazione sportiva restituendo la potenza che gli atleti scaricano a terra.

La parola resilienza viene dal latino resilire, ovvero rimbalzare; in fisica la resilienza è la proprietà di un materiale di ritornare alla sua forma originaria dopo aver subito un duro colpo, come ad esempio uno schiacciamento o una deformazione.

margherita
La resilienza è la capacità di un fiore o di una pianta di crescere, vivere e fiorire tra le crepe dell’asfalto.

In senso figurato, però, la parola può essere usata correttamente anche per parlar d’altro; lo stupore però è tanto quando si scopre che la resilienza è un metodo per imparare a essere felici. Il tutto è nato in una scuola elementare in Inghilterra dove quattro fratellini inseriti in classi diverse perdono improvvisamente la mamma; per riuscire a superare questo lutto, che colpisce non solo loro, ma l’intera comunità, la dirigente della scuola decide di farsi aiutare da una psicologa positiva che crea un Happiness Lab (laboratorio della felicità). “Canzoni gioiose, giochi di gratitudine, corsi di autostima, danza liberatoria e meditazione sono gli strumenti per coinvolgere i bambini e spingerli a scaricare le tensioni”. L’ora della felicità viene inserita nel programma scolastico di questa scuola inglese e più nessuno dei bambini vuole rinunciarvi. Dietro tutto ciò c’è un’unica parola chiave, resilienza, ovvero la capacità di imparare a resistere senza uscire “ammaccati”, non dagli urti meccanici, ma dagli urti delle cose negative e dolorose che ciascuno deve immancabilmente affrontare nella vita. Resilienza, dunque, intesa come capacità di rispondere positivamente ai traumi ed è questa la risorsa che il laboratorio inglese, pioniere nell’insegnamento del metodo per essere felici, vuole trasmettere ai più piccoli, sin dai primi anni della scuola, quando tutto si assorbe più facilmente, un metodo per rendere più facile la vita anche da adulti.

Osservando i bambini che si impegnano a realizzare qualcosa nel laboratorio dei genitori o dei nonni vedo nei loro occhi coinvolgimento totale e felicità per la gratificazione di essere riusciti in qualcosa di concreto (guardate che faccino furbo e gioioso ha Emanuele mentre costruisce cavallini per sé e per il fratellino a pagina 54). Quindi, alle cinque cose fondamentali da fare ogni giorno per provare a essere felici, aggiungerei la manualità creativa e credo che molti di voi su questo punto mi daranno ragione. Le altre sono: sorridere, essere gentili, abbracciare, fare dei complimenti sinceri, fidarsi; certo il metodo non è tutto qui, ma si può provare, male di sicuro non fa, anche se nel mondo di oggi comportamenti simili susciterebbero grande stupore.

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