Tu chiamale se vuoi… emozioni

Editoriale tratto da Far da sé n.455 di Ottobre 2015

Autore: Emanuele Bottino

In pochi minuti, dopo l’ingresso nel gigantesco scenario dell’Expo, uno scafato gruppetto della nostra casa editrice si è trasformato in una piccola classe di scolari. Ci guardavamo intorno camminando lungo il Decumano, stretti-stretti nonostante il caldo, un po’ per riuscire a seguire la guida in mezzo alla calca di persone mentre ci illustrava i vari padiglioni visti da fuori, un po’ per avere sempre i compagni a fianco cui poter fare un cenno, indicare dettagli e scorci degni di nota. Grande meraviglia di fronte allo spettacolo dei padiglioni, della diffusa atmosfera festaiola, quasi come se fosse una sagra di paese particolarmente ben riuscita. Ripensandoci, si potrebbe definire “effetto Expo”… perché tutto ci ha colpito e colpisce, all’Expo di Milano, progetto grandioso, almeno quanto il tema dell’evento: “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”. Ci ha colpito l’enorme utilizzo del legno (cosa di cui diamo conto, seppure marginalmente, nelle due pagine seguenti) e ci hanno colpito gli spazi enormi, ovviamente necessari per la partecipazione di tante Nazioni, più alcune organizzazioni internazionali. Ci ha colpito che ognuna avesse allestito un suo padigione separato dagli altri, una vera e propria costruzione a sé stante. Quasi tutti sono giganteschi e molto caratterizzati, con grande sfoggio di creatività e orgoglio campanilistico. Ci ha colpito che tutto sia molto, molto bello… persino troppo! E già… perché se si pensa al mondo da sfamare, come minimo il pensiero va ai soldi (tanti!) impiegati per tutta questa bellezza fatta ad hoc e tutto questo spazio cementificato dove prima c’erano campi… da coltivare. Inoltre, dopo il 31 ottobre quasi tutto sarà smantellato, tranne il cemento. Ci ha colpito il padiglione Zero, dove un percorso con proiezione di immagini, testi e video, illustra quanto l’uomo abbia modificato la Terra con la sua presenza, a partire dalle trasformazioni del paesaggio naturale per finire ai rituali del consumo. Una sequenza di suggestioni che portano a una conclusione dura e concreta da cui si desume un vero e proprio imperativo: per poter alimentare tutti, bisogna assolutamente eliminare i continui sprechi di cibo e risorse. Ci ha colpito il Future Food District, padiglione allestito per mostrare come sarà il supermercato del futuro (prossimo!), dove si scopre come saremo aiutati a scegliere meglio e più consapevolmente, seppure con qualche piccolo inconveniente. Avvicinando la mano a un prodotto, sullo schermo posto al di sopra, esso viene descritto nei minimi particolari, con riferimenti al luogo d’origine, al sistema di trasporto, conservazione e prezzo; dove serve c’è anche un robot che movimenta e prepara la merce, in modo che non la si debba toccare. Fra le possibilità di scelta, però, ci sono anche alcune confezioni con insetti cucinati, fra cui una vaschetta di grossi scorpioni; al momento sono finti, ma un severo cartello ammonisce sul fatto che presto saremo costretti a cambiare le nostre abitudini alimentari. Ecco, a questo punto, nonostante le più buone intenzioni verso la modernizzazione e mettiamoci pure la curiosità di assaporare cibi esotici, il pensiero va ai nostri cari frutteti di collina e ai cumuli di arance, mele, pesche che ogni anno bisogna distruggere per qualche assurda legge di mercato. Per concludere, tante le contraddizioni all’Expo, ma tante anche le emozioni.

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